Recupero crediti – Una sentenza che costa caro

Risponde di bancarotta l’imprenditore che non si attiva tempestivamente per il recupero crediti dell’azienda che poi fallisce.

Lo ha sancito la Corte di Cassazione con la sentenza n. 40901 del 18 ottobre 2012.

Svolgimento del processo

1. L.E. è stato ritenuto responsabile, con sentenza della Corte di Appello di Salerno del 14-1-2011, in conferma di quella del tribunale della stessa città in data 14-1-2008, del reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale, quale amministratore unico della, dichiarata fallita il (OMISSIS), e condannato alla pena di due anni di reclusione con attenuanti generiche prevalenti sull’aggravante.

L’imputazione riguarda la distrazione di due somme (rispettivamente di Euro mille 10 mila e 14 mila circa) a titolo di rimborso anticipi all’amministratore e la distrazione del capannone della società fallita, affittato a società direttamente o indirettamente riferibili al prevenuto, i cui canoni erano stati distratti nei circa due anni anteriori alla dichiarazione di fallimento.

2. Con il ricorso proposto tramite il difensore avv. M. Valiante, L. deduceva con un primo motivo mancanza o manifesta illogicità della motivazione in relazione a specifiche doglianze proposte con l’appello, soffermandosi: sul fatto che il passivo si era rivelato molto inferiore a quanto risultante dalle domande di insinuazione al passivo; sulla circostanza che un debito ascritto alla società si riferiva invece ad un ramo di azienda della stessa gestito da un terzo, che aveva fatto emettere le fatture di un fornitore a nome della fallita; sul rilevo che la società non aveva una situazione debitoria superiore ai Euro 500 mila, mentre i contratti di locazione del capannone erano di molto antecedenti al fallimento, l’importo dei canoni era conforme ai prezzi di mercato e i canoni non erano stati distratti essendo stati contabilizzati tanto dal proprietario che dal conduttore.

3. Con il secondo motivo lo stesso vizio era dedotto in relazione alla sussistenza dell’elemento soggettivo del reato, il cui riconoscimento era incentrato sulla conoscenza dello stato d’insolvenza, per contro non ricorrente perchè alcuni debiti erano da imputare al gestore del ramo d’azienda, mentre dalle scritture contabili risultavano rilevanti anticipazioni dell’amministratore alla società, a fronte di minimi rimborsi allo stesso. Comunque quest’ultima situazione integrava al più bancarotta preferenziale.

Si chiedeva quindi l’annullamento della sentenza.

4. Con memoria 23-4-2012 il difensore introduceva un ulteriore motivo di impugnazione, rappresentato da violazione di legge in riferimento all’art. 2 c.p., per non essersi applicate, quale legge più favorevole, le nuove norme in materia fallimentare, in base alle quali sarebbe stata esclusa la fallibilità dell’imputato.

Motivi della decisione

1. Il ricorso è infondato e va disatteso.

2. Il primo motivo è in gran parte ripetitivo di questioni che, già prospettate con l’appello, sono state oggetto di disamina e reiezione nella sentenza di secondo grado attraverso il consentito richiamo per relationem all’iter argomentativo della decisione del tribunale che, analiticamente riportato, è stato correttamente ritenuto esaustivo in punto di valutazione delle doglianze difensive, avanzate anche nel giudizio di primo grado.

Così è stato ricordato che il richiamo al minor ammontare del passivo fallimentare rispetto alle domande di insinuazione era irrilevante a fronte del comunque pacifico stato di insolvenza della società, e che il tentativo di attribuire al terzo gestore di un ramo dell’azienda taluni debiti verso fornitori, era risultato sventato dalla mancata opposizione ai decreti ingiuntivi ottenuti dai creditori nei confronti della fallita.

Ugualmente, sempre mediante richiamo alla ragionata motivazione del giudice di prime cure, la corte territoriale ha evidenziato l’irrilevanza della stipulazione dei contratti di locazione del capannone della società in epoca molto anteriore al fallimento, la non conformità del canone ai prezzi di mercato – contestata dal ricorrente con assunto meramente assertivo -, e l’incidenza negativa sull’andamento della società della non curata tempestiva riscossione degli stessi – che invano il ricorrente assume non distratti in quanto contabilizzati – in un momento di grave difficoltà economica attestato dalle iniziative giudiziarie, anche esecutive, dei creditori nei confronti della EUREKA srl.

3. Il secondo motivo di gravame costituisce riproposizione, senza l’aggiunta di elementi di sostanziale novità, della questione relativa alla ricorrenza dell’elemento psicologico del reato, messa in dubbio richiamando la circostanza, sopra ricordata, della riferibilità ad un terzo di alcuni debiti attribuiti alla società, la cui infondatezza è già stata evidenziata.

La possibilità di configurare la restituzione anticipi all’amministratore al più come bancarotta preferenziale, è poi stata già esclusa nelle sentenze di merito sul rilievo, in linea con la giurisprudenza di questa corte, della inscindibilità della qualità di creditore da quella di amministratore.

4. Il motivo nuovo prospettato con la memoria del 23-4-2012, si pone infine in radicale contrasto con l’orientamento di questa corte a sezioni unite (Cass. Sez. U, 19601/2008), secondo il quale il giudice penale investito del giudizio relativo a reati di bancarotta ex R.D. 16 marzo 1942, n. 267, art. 216 e segg., non può sindacare la sentenza dichiarativa di fallimento quanto al presupposto oggettivo dello stato di insolvenza dell’impresa e ai presupposti soggettivi inerenti alle condizioni previste per la fallibilita dell’imprenditore, sicchè le modifiche apportate al R.D. n. 267 del 1942, art. 1, D.Lgs. 9 gennaio 2006, n. 5 e dal D.Lgs. 12 settembre 2007, n. 169, non esercitano influenza ai sensi dell’art. 2 c.p. sui procedimenti penali in corso.

5. Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.