Registrare le telefonate dei figli minori è reato

Una sentenza della Cassazione Penale piuttosto datata, la n.41192 del 2014, afferma incontrovertibilmente che il genitore (oppure l’investigatore privato aggiungo io) che registra le comunicazioni tra il figlio e l’altro genitore (oppure un terzo dico io) commette il reato di cui all’art. 617 c.p.

Tale reato prevede appunto che “Chiunque, fuori dei casi consentiti dalla legge, installa apparati, strumenti, parti di apparati o di strumenti al fine di intercettare od impedire comunicazioni o conversazioni telegrafiche o telefoniche tra altre persone è punito con la reclusione da uno a quattro anni.
La pena è della reclusione da uno a cinque anni se il fatto è commesso in danno di un pubblico ufficiale nell’esercizio o a causa delle sue funzioni ovvero da un pubblico ufficiale o da un incaricato di un pubblico servizio con abuso dei poteri o con violazione dei doveri inerenti alla funzione o servizio o da chi esercita anche abusivamente la professione di investigatore privato”.

La vicenda riguarda due genitori separati e uno dei quali ha timore che l’altro genitore, con le sue telefonate, influenzi negativamente il minore.

La Cassazione afferma che il soggetto minore è sempre e comunque considerato terzo rispetto al genitore che ha predisposto l’intercettazione. Pertanto il minore è titolare di pieni diritti che nel caso di specie si intendono anche di rilevanza penale.

Anche solo per tale evidenza si deve ritenere integrata la condizione di tipicità del fatto e gli obblighi di vigilanza del genitore verso il figlio che ha predisposto l’intercettazione, non comporta ipso iure una sorta di assorbimento del soggetto (figlio) nella figura di altro soggetto (genitore intercettante).

In altre parole il figlio mantiene la sua autonoma titolarità di diritti e non si fonde con la figura del genitore.

Nella stessa sentenza il genitore intercettante, a sua difesa, lamenta l’esimente di cui all’art. 51 del c.p. il quale prevede al suo primo comma che “L’esercizio di un diritto o l’adempimento di un dovere imposto da una norma giuridica o da un ordine legittimo della pubblica autorità, esclude la punibilità.” Il genitore lamentava quindi tale esimente in relazione alla potestà genitoriale di controllo verso il figlio minore.

Anche in questo caso la Cassazione ha affermato che non opera tale esimente in quanto “va innanzi tutto rammentato il principio per cui, ai fini dell’applicazione della causa di giustificazione di cui all’art. 51 c.p., è necessario che l’attività posta in essere costituisca una corretta estrinsecazione delle facoltà inerenti alla situazione soggettiva che viene in considerazione, nel senso che il fatto penalmente rilevante sotto il profilo formale sia stato effettivamente determinato dal legittimo esercizio di un diritto o dal legittimo adempimento di un dovere da parte dell’agente (Sez. 6, n. 14540/11 del 2 dicembre 2010, Pafadnam, Rv. 250025). In altri termini la scriminante sussiste solo se il fatto penalmente illecito sia stato effettivamente determinato dalla necessità di esercitare il diritto o di adempiere il dovere. L’art. 51 c.p., non può insomma trovare applicazione in quei casi in cui detta necessità non ricorre, compreso quello in cui l’attività dell’agente abbia oltrepassato i limiti della situazione soggettiva che invoca a giustificazione della propria condotta”.

Pertanto il genitore è stato condannato per il reato di cui all’art. 617 c.p.

Nel caso di specie nessun investigatore era stato incaricato di svolgere le registrazioni, ma ritengo opportuno rilevare che nel caso in cui ciò fosse avvenuto lo stesso investigatore, anche con l’autorizzazione di un genitore affidatario del minore, sarebbe stato sottoposto alla pena prevista dal terzo comma di detto articolo, ben più grave di quella a cui è stato sottoposto il genitore.