Assenteismo sul lavoro : truffa aggravata non timbrare il badge

SUPREMA CORTE DI CASSAZIONESEZIONE II PENALE

 

Sentenza 5 giugno – 4 luglio 2012, n. 25781

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1- T.F., D.F.G., L.M.V. e C. C. ricorrono avverso la sentenza in data 26.10/22.12.2011 della corte di appello di Palermo che, in parziale riforma della sentenza di primo grado – tribunale, in composizione monocratica, della stessa città, in datalo. 12.2008 – tra l’altro, riduceva in seguito alla concessione delle attenuanti ex art. 62 c.p., n. 4 e art. 62 bis c.p., le pene inflitte per distinti delitti di truffa aggravata, ex art. 640 cpv. c.p., n. 1, a mesi tre di reclusione ed Euro 30,00 di multa per T., D.F. e L.M., a mesi tre, giorni dieci di reclusione e Euro 40,00 di multa per C.

2- In breve i fatti come ricostruiti dai giudici di merito: nel contesto di operazioni di p.g. volte a verificare condotte di assenteismo durante la giornata lavorativa dei dipendenti della Soprintendenza per i beni culturali ed ambientali della Regione siciliana, operazioni svolte attraverso la verifica dei cartellini marcatempo, video registrazioni e pedinamenti, tra i molti altri venivano monitorati i movimenti dei quattro attuali ricorrenti, a cui venivano contestati inizialmente i reati di falso in atto pubblico e di truffa, e condannati poi in sede di primo e di secondo grado, soltanto per il secondo reato, per essersi ritenuto non configurabile, per la natura di atto privato del cartellino segnatempo, il primo reato. In buona sintesi, durante il periodo interessato alle indagini, dal Luglio 2001 al Dicembre 2002, si era accertato che si erano ingiustificatamente sottratti al lavoro T. il giorno 30.4.2002 per 37 minuti (il giorno 9.7.2011 per 75 minuti, periodo caduto in prescrizione), D.F. il giorno 20.3.2002 per un’ora e 55 minuti (il giorno 5.3.2002 per 35 minuti, periodo caduto in prescrizione), L.M. il giorno 5.12.2012 per 38 minuti, C. 10.12 e 16.12.2001 per due ore e 50 minuti.

3- Motivi di ricorso:

a) per T.F.: 1) violazione degli artt. 49 e 640 c.p. per inoffensività della condotta contestata non potendosi ritenere l’assenza di soli 37 minuti dal luogo di lavoro evento lesivo del bene giuridico tutelato dalla truffa; 2) manifesta illogicità della motivazione della sentenza in ordine alla sussistenza dell’elemento psicologico e del delitto come contestato per il breve periodo di tempo di allontanamento dall’Ufficio, dovuto poi a ragioni familiari, quali la notizia di una malattia della sorella all’estero, per il periodo coperto dalla prescrizione, e per acquistare un medicinale per la figlia malata per il resto; 3) contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in merito al diniego del beneficio di cui all’art. 175 c.p.

b) per D.F.G.: 1) inoffensività della condotta per non doversi ritenere economicamente apprezzabili i minuti di allontanamento dal posto di lavoro; 2) insussistenza dell’aggravante di cui all’art. 61 c.p., n. 9 per doversi ritenere i cartellini marcatempo, rappresentativi di una erronea realtà in merito al periodo di presenza in Ufficio, meri atti di natura privata; 3) carenza di motivazione in ordine alla misura della pena ed in ordine alla mancata sostituzione della predetta con pena pecuniaria; 4) carenza di motivazione in ordine al diniego del beneficio della non menzione della condanna nel casellario giudiziale.

c) per L.M.V.: carenza di motivazione in ordine alla ritenuta assenza dal lavoro per il periodo contestato, fondata solo sulle dichiarazioni incerte e contraddittorie del teste R. A.

d) per C.C.: 1) inoffensività della condotta, perchè l’allontanamento e/o l’assenza dal lavoro per un breve periodo di tempo, quale quello contestato, non può essere considerato economicamente apprezzabile; 2) carenza di motivazione per la mancata conversione della breve pena detentiva in pena pecuniaria.

4- Nessuno dei ricorsi merita accoglimento perchè inammissibili.

I ricorsi di T.F. e D.F.G. sui punti correlati alla dichiarazione di colpevolezza in merito ai reati contestati, non meritano accoglimento: invero la deduzione difensiva nel senso di rinvenire nella fattispecie la figura del reato impossibile per il modestissimo periodo di tempo di assenza in ufficio omette di rilevare che la condotta si inquadra nel contesto di un servizio pubblico, e non può essere circoscritta solo al questo sì modesto danno economico cagionato all’ente. Ed è noto che perchè una azione possa considerarsi inidonea, e necessario che la sua capacita a produrre l’evento sia assoluta, intrinseca, originaria (e non contingente e relativa), sulla base di una valutazione oggettiva da compiere risalendo al momento iniziale dell’azione. E la violazione del dovere del dipendente pubblico in funzione dell’adempimento delle loro funzioni e del loro servizio con disciplina ed onore, specie in un contesto che segnala molteplici manifestazioni di abitudini distoniche ai doveri istituzionali, non può certo depotenziarsi a tal punto da poterlo ritenere del tutto inoffensivo.

Occorre poi ribadire che attesa la funzione dei cosiddetti “cartellini segnatempo” di costituire prova della continuativa presenza del dipendente sul luogo di lavoro nel tempo compreso tra l’ora d’ingresso e quella di uscita, deve ritenersi che, indipendentemente dalla configurabilità o meno del falso ideologico (avuto riguardo alla natura giuridica dei detti cartellini), costituisca comunque condotta suscettibile di integrare il reato di truffa aggravata quella del pubblico dipendente che si allontani temporaneamente dal luogo di lavoro senza far risultare, mediante timbratura del cartellini o della scheda magnetica, i periodi di assenza. (Sez. 2,16.3/26.4.2004, Nisco, Rv. 229439).

Non è poi punto vero che l’elemento probatorio nei confronti de L. M. sia costituito dalle sole dichiarazioni incerte del teste R. A., perchè le predette sono corroborate dalle puntuali attestazioni dei militari operanti che hanno seguito de visu i movimenti dell’imputato che è stato visto entrare in Ufficio alle ore 9,15, per uscirne alle ore 9,16 e farvi rientro alle ore 10,27.

I giudici di merito, poi, con valutazione insindacabile in questa sede perchè coerente e logica, hanno ritenuto che nè del beneficio della non menzione ex art. 175 c.p. nè della conversione della pena detentiva in pena pecuniaria ex L. n. 689 del 1981, art. 58, i ricorrenti tutti siano stati meritevoli proprio per la dimostrazione di indifferenza verso i pregiudizi, sul piano dell’immagine, arrecati alla Amministrazione pubblica: invero, da un lato, il beneficio della non menzione della condanna di cui all’art. 175 c.p. è fondato sul principio dell'”emenda”, e tende a favorire il processo di recupero morale e sociale, sicchè la sua concessione è rimessa all’apprezzamento discrezionale del giudice di merito, e non è necessariamente consequenziale a quella della sospensione condizionale della pena, fermo restando tuttavia l’obbligo del giudice di merito di indicare le ragioni della mancata concessione sulla base degli elementi di cui all’art. 133 c.p., dall’altro la decisione in merito alla possibile conversione della pena detentiva in pena pecuniaria, se è pur vero che è collegata ai criteri previsti dall’art. 133 c.p., tuttavia, ciò non implica che il giudice debba prendere in esame tutti i parametri contemplati nella suddetta previsione, potendo la sua discrezionalità essere esercitata motivando sugli aspetti ritenuti decisivi, quali, in proposito, l’inadempimento dei doveri, in un contesto critico, inerenti alla pubblica funzione o al pubblico servizio.

Ai sensi dell’arti. 616 c.p.p., con il provvedimento che dichiara inammissibile il ricorso, gli imputati che lo hanno proposto devono essere condannati al pagamento delle spese del procedimento, nonchè – ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità ( Corte cost. n. 186/2000; Cass. S.U. 27.6.2001, Cavalera Rv. 219532) – al pagamento, ciascuno, a favore della cassa delle ammende della somma di Euro mille, così equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti.

P.Q.M.

Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e, ciascuno, al versamento della somma di Euro mille alla cassa delle ammende.